Il Trasloco

Un tempo il giorno di San Martino (11 novembre) segnava la fine dell’anno agrario e quindi il contratto di lavoro, che era annuale e che poteva essere rinnovato oppure no. Per il contadino al quale non veniva rinnovato, significava perdere non solo il lavoro, ma anche la casa. In questo giorno avvenivano quindi i traslochi e spesso s’incrociavano le famiglie che andavano e quelle che tornavano: le stesse scene si ripetevano di cascina in cascina.

Sul carro venivano poste le poche proprietà: i mobili, le scorte di viveri, il legname, le gabbie di polli, il maiale e i bambini e i vecchi.
Tuttora in molti luoghi si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino.
Ma, per chi aveva scampato il pericolo della fame e la paura per ciò che poteva accadere nel nuovo anno agrario, il San Martino si trasformava in un giorno di festa, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorreva finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata.

Antichi mestieri

Da oltre vent’anni a Monticelli, per un’intera giornata si fa un salto nel passato e si rivedono cavalli, asini e trattori d’epoca che trainano vecchi carri agricoli allestiti con i mobili, gli attrezzi e le altre suppellettili e che percorrono le vie del paese durante tutto il pomeriggio. A fare loro cornice anche figuranti che presentano i mestieri oramai scomparsi e persi nel tempo come il casaro, la pigiatura dell’uva, l’impagliatore di sedie, il fabbricante di reti e nasse, il maniscalco, l’intrecciatrice d’aglio, il pastaio con il torchio, il calzolaio, la ricamatrice e tanti altri.

Animali della fattoria

Una volta gli animali rappresentavano una fonte di reddito irrinunciabile, in quanto ogni famiglia traeva dal loro allevamento i prodotti necessari per sopravvivere: il latte per i formaggi e il burro, le uova, la lana per gli indumenti invernali e anche la carne in circostanze eccezionali. In tutte le famiglie contadine esistevano in genere almeno una mucca e un bue o un cavallo, utilizzati oltre che per le risorse alimentari anche per il lavoro nei campi.
E’ nostra intenzione rendere omaggio agli animali che una volta condividevano quotidianamente la vita contadina, e lo facciamo nel loro pieno rispetto, coinvolgendoli con noi in questo giorno di festa.

Cibo della tradizione

Monticelli con i suoi portici fa da palcoscenico a questa inconfondibile manifestazione dove il racconto del territorio e delle tradizioni non solo può essere toccato con mano, ma può essere anche gustato. Monticelli d’Ongina infatti vanta un patrimonio enogastronomico prezioso, che vede protagonisti 5 prodotti della tradizione locale ovvero l’Aglio Bianco Piacentino, il Salame Piacentino, il Cacio del Po, la Spongata e il Gran Cremovo etichetta nera. Ad accompagnare queste eccellenze del territorio non potevano di certo mancare i vini piacentini per eccellenza, il Gutturnio e l’Ortrugo.
Leggete le loro storie.

Immagini tratte dal progetto “Vè a Muntzei”

Aglio Bianco Piacentino, CO.PA.P

L’aglio bianco si trova in questi luoghi fin dai tempi più antichi, in passato veniva spesso usato come medicamento oltre che in vari rituali di diversa natura. Successivamente la coltivazione dell’Aglio Bianco Piacentino si sviluppò in seguito ad una maggiore richiesta da parte dei consumatori per uso alimentare fino ad arrivare negli anni 50 del 900 ad essere quotato in borsa a Wall Street. Dopo l’aumento crescente per l’interesse di questo prodotto vennero avviati diversi studi sul miglioramento dell’aglio bianco piacentino fino ad arrivare alla registrazione della Varietà Ottolini che deriva dall’omonimo dottore che si occupò delle ricerche. Monticelli d’Ongina è l’unico produttore a livello nazionale dell’Aglio Bianco Piacentino, iscritto nel registro delle varietà proprio con la denominazione di aglio “Ottolini” e “Serena”.
La ricchezza aromatica, l’alta concentrazione di allicina e la capacità di conservarsi a temperatura ambiente senza elevare le sue qualità organolettiche, fanno dell’Aglio Bianco Piacentino CO.P.A.P. un bulbo pregiato definito dagli esperti “oro bianco”.
CO.P.A.P. – Cooperativa produttori Aglio Piacentino nasce a Monticelli nel 1976 dall’unione di diverse aziende agricole della provincia di Piacenza e opera con lo scopo di salvaguardare e migliorare la produzione della varietà locale di Aglio Bianco Piacentino. L’azienda lavora, conserva, confeziona e commercializza da oltre 40 anni prodotti freschi come aglio, cipolle, scalogno e pomodoro da mercato. Oltre al confezionamento e alla commercializzazione dei prodotti qui si effettuano la programmazione, il controllo sanitario e qualitativo delle produzioni e della tracciabilità del prodotto secondo le norme vigenti. CO.P.A.P. è stata la prima cooperativa di produttori di aglio in Italia che raggruppa 30 soci nel comune di Monticelli d’Ongina e nelle zone limitrofe, continuando ad investire sulla qualità dei suoi prodotti e sulla produzione totalmente Made in Italy.

Salame Piacentino, Salumificio Val d’Ongina

Il salame piacentino è uno dei classici simboli che la storia ha tramandato come mezzo di conservazione delle carni: per secoli la produzione di carni di suino conservate rimase infatti una pratica domestica, per soddisfare i fabbisogni della famiglia. Nel medioevo le tecniche di preparazione delle carni salate, essiccate e affumicate si diffuse arrivando fino ad oggi, perfezionandosi sempre di più.
Il salame piacentino si produce utilizzando carni magre selezionate e miscelate sapientemente da suini proveniente dalle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, mentre la zona di lavorazione è limitata alla sola provincia di Piacenza le cui caratteristiche climatiche e territoriali, sono fondamentali per ottenere quell’inconfondibile gusto che lo ha reso famoso nella storia.
La lavorazione del salame si effettua in quattro fasi: inizialmente vengono tritate e unite insieme le parti magri e quelle grasse, utilizzando una macinatura piuttosto grossa nel pieno rispetto della tradizione, in seguito le carni sono impastate con l’aggiunta di sale, spezie, infuso di aglio e vino, in quantità sapientemente dosate. L’impasto ottenuto viene poi insaccato in un budello naturale di suino, legato e messo ad asciugare in appositi locali per circa una settimana.
Da qui parte il periodo di attesa della stagionatura che durerà almeno 45 giorni e grazie all’umidità della valle del Po e alle sue inconfondibili nebbie invernali regalerà un salame gustoso e profumato.
Il Salumificio Val d’Ongina produce, dal 1978, il Salame Piacentino d.o.p. e gli altri salumi tipici della Bassa Piacentina. L’azienda nasce in un piccolo laboratorio si San Nazzaro, frazione di Monticelli.
Da diversi anni l’azienda non si dedica più alla macellazione ma esclusivamente alla loro lavorazione che, grazie all’esperienza delle mani abili dei norcini, permette di mantenere il gusto delle migliori tradizioni contadine.

Cacio del Po, Caseificio Borgonovo

Tipico formaggio del comune di Monticelli d’Ongina, come tutti i formaggi nasce dall’esigenza di conservare il latte, quindi quale miglior modo di salarlo e farlo asciugare.
Il Cacio del Po è tra i più giovani dei formaggi della tradizione di questa zona caratterizzato da una pasta semicotta, stagionato da 60 a 120 giorni, prodotto con latte vaccino intero crudo della zona di Monticelli.
Il gusto è molto lattato, dolce con un retrogusto solo leggermente amarognolo. Ha forma cilindrica con facce piane o lievemente convesse di 25-30 cm di diametro, 8-10 cm di altezza e peso variabile tra 7-10 kg. Esternamente ha una superficie con crosta liscia di colore giallo paglierino. La pasta ha un aspetto compatto, la consistenza è morbida ed elastica, il colore è bianco avorio e presenta un’occhiatura media, non uniforme.
Le mani da cui deriva questo prodotto unico sono i fratelli Ennio e Gianfranco Palormi che gestiscono il Caseificio Borgonovo, un piccolo caseificio della grande tradizione.
La Famiglia Palormi conduce l’attività dal 1978 in una struttura che ha oltre un secolo di storia, diventata simbolo di prodotti genuini e gusti prelibati in quel di Borgonovo San Lorenzo, piccola frazione di Monticelli d’Ongina.
L’estrema cura di ogni passaggio, dalla raccolta del latte alla stagionatura, è il tratto distintivo delle lavorazioni. La famiglia Palormi conduce da oltre 30 anni il piccolo caseificio artigianale di Borgonovo, noto non solo per il Cacio del Po ma anche per le pregiate forme di Grana Padano Dop.

Spongata, Panetteria Spagna

La Spongata è un dolce tipico del Natale e della stagione invernale anche se oggi è possibile gustarlo tutto l’anno. Si tratta di uno dei dolci più antichi, diffuso in buona parte dell’Emilia Romagna.
Si hanno sue notizie fino dal 1300, ma alcuni ne fanno risalire l’origine ai tempi dei romani, con sue tracce nella cena di Trimalcione.
La sua composizione apparentemente semplice, (miele, pan grattato, frutta secca, uvetta e spezie) non deve trarre in inganno in quanto si tratta di un dolce carico di simboli e significati.
La spongata piatta e circolare: il cerchio, simbolo maschile di completezza ed eternità, amuleto di protezione, forme perfette che rievocano le sue profonde attività con la religione. Non a caso anche il ciclo tradizionale di preparazione dura tre giorni.
Il prodotto che oggi gustiamo è il risultato di millenni di contaminazioni storico-culturali; infatti nella sua storia più recente è arricchita dalle tradizioni ebraiche che l’hanno consegnata e preservata fino ai giorni nostri.
La spongata rappresenta il classico dolce di Monticelli d’Ongina fin dai primi anni del 900, grazie ai coniugi Massimilla e Amato Re, fornai del luogo, i quali gestivano insieme alla loro panetteria, l’unica pasticceria del paese. L’antica ricetta segreta della spongata era pervenuta ai Re da un vecchio speziale ebreo del paese della famiglia Cavezzali. Nel 1913 i coniugi Re incaricarono il pittore Dino Mora di Colorno di disegnare per loro un motivo ornamentale da stampare sulla carta usata per la confezione della spongata. L’artista realizzò un disegno floreale nello stile in uso allora. In seguito i coniugi Re si ritirarono dalla loro attività ma conservarono per diversi anni l’esclusiva della spongata, che preparavano nella loro abitazione.
Già in età avanzata cedettero la ricetta al nipote Antonio. Con l’andare del tempo la confezione e la ricetta passarono a coloro che subentrarono nella gestione della panetteria. Dai primi produttori Massimilla e Amato Re, la ricetta era passata ai nipoti Gina e Antonio Re, da costoro ai figli Leo e Federico Re e in seguito alle famiglie Miglioli e Spagna, che tuttora producono questo incredibile prodotto nel loro esercizio in centro paese.

Gran Cremovo Etichetta Nera, Giarola Savem

Tutto cominciò nel 1910, quando il giovane Abele Giarola divenne apprendista in una drogheria di Piacenza. Nove anni dopo, nel 1919, spinto dalla passione dei liquori, Abele conseguì la licenza di trasformare vini aromatizzati e produrre liquori a freddo e aprì un piccolo stabilimento.
Nel 1918 nasce il Marsala Giarola frutto della passione e dell’amore per i vini pregiati e le preziose sostanze naturali. Il 3 ottobre 1919 viene costruita l’impresa commerciale con il primo deposito di Alcool e Bevande e con la produzione del MarsalaOVO. Tra il 1932 dal MarsalaOVO nasce il Gran Cremovo Etichetta Nera, tutt’oggi il prodotto rappresentativo dell’azienda che si afferma e partecipa con successo alle fiere campionarie vincendo ben 4 medaglie d’oro.
La ricetta per la produzione di questo vino aromatizzato risale alle vecchie tradizioni ed è la stessa che viene utilizzata da Abele Giarola, fondatore dell’azienda, con Vino Marsala fine D.O.C. 100%, zucchero oltre 35%, alcool e sostanze naturali del tuorlo d’uovo. Dietro a questa grande lavorazione ci sono materie prime selezionate, tra le migliori, da un gruppo di esperti che trova a capo il Dott. Abele Giarola, chimico di terza generazione che si impegna ormai da anni a mantenere inalterati i vecchi sapori attraverso lo studio dei dosaggi, degli aromi e dell’essenza che rimangono ancora oggi alla base della produzione.
La volontà di mantenere immutato questo prodotto richiama il forte legame della famiglia alle proprie origini. Giarola Sevem S.r.l è presente nel mondo da 100 anni e ad oggi considerata tra le più qualificate Società Italiane del settore con una produzione giornaliera di circa 10.000 bottiglie/ora. Il catalogo aziendale raccoglie circa un centinaio di prodotti storici sino ad arrivare a prodotti di più moderna costituzione che meglio si adattano alle esigenze del mercato odierno.

Gutturnio e Ortrugo, Cantine Mainetti

La storia dei vini piacentini proviene da molto lontano, più precisamente l’origine proviene ed è fondata sulle conoscenze greche: i viticoltori piacentini hanno sempre allevato la vite in forma bassa con le carasse, sostenendo che è il palo che fa l’uva.
È con l’età del ferro, al primo millennio A.C., che gli abitanti delle terre mare palafitticole vicino al Po, emigrarono verso le colline piacentine, fondando l’importante centro culturale e termale di Veleja e impiantando le prime viti.
Agli antichi Romani è legata l’origine del nome Gutturnio, derivato dal latino “Gutturnium” termine con il quale si identifica una coppa di vino in argento decorato con figure romboidali finemente cesellate, ritrovata durante gli scavi di Veleia Romana verso la fine dell’Ottocento. Successivamente, per traslato, il nome iniziò a identificare il contenuto oltra al contenitore.
Il Gutturnio dei Colli Piacentini è un vino D.O.C., la cui produzione è consentita esclusivamente nella provincia di Piacenza, ed è ottenuto dai vitigni Barbera e Croatina. È il vino più conosciuto e
diffuso tra quelli piacentini. Il Gutturnio viene prodotto in 3 tipologie: Frizzante, Superiore e Riserva. Colore rosso rubino, brillante di varia intensità, profumo caratteristico vinoso e sapore secco o abboccato, fresco, giovane.
Tra i vini bianchi dei Colli Piacentini, l’Ortrugo è senz’altro tra i più diffusi oltre che il più caratteristico della zona. Nasce dal vitigno omonimo, tipico ed esclusivo del piacentino e fino ad alcuni decenni fa veniva utilizzato principalmente come uva da taglio, il nome deriva da “Altruga o
Artruga” che in dialetto piacentino significa “l’altra uva”, infatti in passato veniva vinificato insieme ad altri vitigni a bacca bianca e quasi mai da solo. Grazie alla lungimiranza di alcuni produttori, che cominciarono a vinificare l’Ortrugo autonomamente, venne riscoperto come vino
agli inizi degli anni ’70, ottenendo un prodotto che ancor oggi riscuote un notevole successo anche al di fuori dei confini regionali. Questo rinnovato interesse ha permesso di ottenere, agli inizi degli anni ’80, la Denominazione di Origine Controllata.
Le Cantine Mainetti nascono nel 1958 , quando nell’antica trattoria “Da Ninòla” a Castelvetro Piacentino, Giovanni Mainetti e la sua famiglia servivano buon vino e deliziavano i palati provenienti anche da lontano. La passione si è tramandata di generazione in generazione, evolvendo fino ad oggi, dove i due fratelli Gloria e Roberto, hanno aggiunto nuove tecniche di coltivazione dell’uva, nuovi procedimenti di produzione, imbottigliamento e distribuzione del prodotto, con l’unico obbiettivo di rispettare la tradizione e puntare all’innovazione.

L’incanto dell’incanto

L’asta di prodotti della campagna e animali da cortile è una vecchia tradizione legata alle feste autunnali che risale ai tempi del Medioevo.
Era tradizione che i contadini del paese cedessero per l’occasione i propri prodotti quali vino, uova, salumi e formaggi, ma anche lana e animali come oche, conigli, galli e faraone; i proprietari terrieri acquistavano i prodotti all’asta e tutto il ricavato veniva devoluto alla chiesa.
Come da tradizione davanti al sagrato della basilica di Monticelli, durante la domenica del San Martino, si celebra quest’Asta meravigliosa dove protagonista è il pubblico.
Piero Carolfi, battitore d’esperienza, detterà il ritmo delle offerte e dei rilanci fino all’aggiudicazione tramite colpo di martello, prendendo per mano il pubblico e accompagnandolo in un viaggio nel passato, quando “l’affare” lo faceva chi dotato di scaltrezza e buon colpo d’occhio.

Palo della cuccagna

Le prime informazioni riguardo al Palo della Cuccagna sono antichissime e risalgono alle popolazioni dei Celti quando l’albero assumeva un significato legato alla fertilità e all’abbondanza del raccolto. Un fatto curioso è quello legato alla tradizione dell’albero di Natale, che per alcuni studiosi deriverebbe proprio dall’Albero dei Celti e per questo verrebbe adornato con opulenza e circondato da regali che richiamino l’abbondanza. Negli anni la tradizione è stata tramandata ai popoli germanici e franchi, per poi giungere a noi e diffondersi soprattutto nel nord d’Italia. Tra le citazioni più importanti del gioco, ricordiamo quella di Alessandro Manzoni nel XI capitolo dei Promessi Sposi.
Anche a Monticelli i nostri nonni ci si arrampicavano, o quando il palo veniva teso in orizzontale sul grande fiume ci correvano sopra. Ed eccolo ricomparire nella nostra piazza il giorno del San Martino dove i giovani d’oggi, arrampicandosi uno sull’altro, cercheranno di raggiungere la vetta e afferrare i premi come da tradizione.

Giochi di una volta

L’area gioco del San Martino celebra i giochi dei nostri nonni, uno spazio in cui i bambini di oggi possono giocare come lo si faceva un tempo quando per divertirsi, bastava qualche oggetto di recupero e tanta voglia di sognare. All’epoca non si faceva goal premendo sullo schermo di un iPhone, ma schierando a terra squadre di bottoni presi in prestito dalla scatola porta cucito della mamma. In alcuni giochi di gruppo era fondamentale essere scaltri e veloci, dovevi nasconderti bene e correre forte se non volevi fare la conta. Le regole poi venivano trasmesse oralmente da una generazione all’altra, e spesso cambiavano di città in città, a volte anche di quartiere in quartiere. L’area gioco vuole trasmettere questi valori, quelli della condivisione e della manualità, dando la possibilità ai nostri ragazzi di conoscere un meraviglioso mondo ormai passato, fatto di semplici oggetti e tanta immaginazione.

Sfida tra le cascine

Dietro le quinte del San Martino di Monticelli agricoltori e volontari lavorano tutto l’anno per la buona riuscita della manifestazione. Chi ha partecipato agli incontri sa che oltre al trasloco e antichi mestieri si possono sentire dibattiti su chi ha il trattore più performante, sulle tecniche di aratura o semina, frecciatine su chi sia più bravo nel proprio mestiere. Da queste chiacchiere e battute goliardiche nasce l’idea di una sfida ufficiale; nella serata del sabato le squadre rappresentanti, si affrontano in una serie di giochi popolari, come il tiro al trattore e la corsa coi sacchi, con l’obbiettivo di vincere e determinare sul campo chi è la cascina più qualificata ad affrontare il trasloco.

Museo del po e acquario

L’Acquario e il Museo Etnografico del Po, hanno sede nel Castello Pallavicino-Casali di Monticelli d’Ongina. Il Castello, è un edificio a forma rettangolare, possente nelle sue mura, con quattro torri agli angoli e forti torrioni quadrati sui portoni d’ingresso. Appare chiaramente come una fortezza difensiva, certamente teatro di molte battaglie di confine tra i Signori di Milano e i Dogi della Serenissima Repubblica di Venezia.
Il museo esplica una funzione di documentazione e conoscenza etnografica riferita soprattutto all’ambiente fluviale, cui si collega l’acquario destinato ad illustrare la fauna ittica del medio Po. L’allestimento permette di osservare dal vivo le specie locali, documentate da apposite schede con i dati scientifici relativi alla diffusione e all’ambiente. Nel percorso espositivo sono inseriti anche due diorami con esemplari faunistici: rettili, mammiferi e uccelli. Il museo raccoglie inoltre le testimonianze delle attività tradizionali praticate lungo il Po: imbarcazioni impiegate per i diversi mestieri, attrezzi dei pescatori e dei cavatori di ghiaia, reti, fiocine e materiale iconografico, testimonianza della vita rivierasca padana. Gioiello di questa sezione è una piroga preistorica in ottimo stato di conservazione.
Il terzo nucleo tematico, dedicato alla civiltà contadina e all’artigianato tradizionale, propone materiali sul lavoro nei campi, aratri, erpici, rulli, falci e loro corredi, carri e carriole; sui mestieri (l’arrotino, il fabbricante di scope, il bottaio, il maniscalco, il norcino, la filatrice) sono raccolti numerosi utensili ormai non più usati da tempo e una vasta rassegna di oggetti di uso comune nelle case di una volta: dall’attrezzatura completa per fare il pane, la pasta, la polenta, ad un antico esemplare di ghiacciaia, agli attrezzi da camino e da cantina, per la pigiatura dell’uva e la produzione del vino, al materiale usato dalle massaie.

Cappella del bembo

Perla del Castello è però la Cappellina di Corte, autentico gioiello d’arte quattrocentesca. Essa reca un intero ciclo di decorazioni in affresco dei fratelli Bonifacio e Benedetto Bembo, famosissimi decoratori cremonesi del tempo. Si possono notare scene della passione di Cristo, San Giorgio ed il drago, l’Ultima Cena (precedente circa 30 anni la celebratissima Cena leonardesca), varie figure di Madonne, Santi, Evangelisti, ecc., in una policromia e finezza interpretativa che lasciano stupefatti.
Aperto la Domenica dalle 15:00 alle 18:00

Ingresso a Museo, Acquario e Cappella: 5,00 €

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