Tradizioni e proverbi

La festa di San Martino divenne in gran parte dell’Europa una sorta di capodanno: in Italia, fino al secolo scorso, l’11 Novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto.

Tuttora in molti luoghi si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare, perché era proprio in questo periodo che si cambiava tradizionalmente casa: praticamente tutti i cambiamenti si facevano per San Martino.

Ed era anche il momento in cui si ammazzava il maiale, come accade tuttora in alcuni luoghi della Spagna dove un proverbio rammenta. “A todos nos llega el San Martìn”, e cioè “A tutti ci arriva il San Martino”, nel senso che prima o poi tutti dobbiamo morire.
Anche per i bambini era festa grande perché il santo, come la Befana oggi, portava loro regalini scendendo dalla cappa del camino e, se avevano fatto capricci depositava una frusta ammonitrice, detta in Francia “Martin baton” o “martinet”, usanza tipica dei periodi di capodanno o di rinnovamento temporale.
Inoltre, così come i Celti festeggiavano il Samuin banchettando, il giorno di San Martino trascorreva anche nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio. Perciò, tuttora, la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono ad esempio in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste.
Ippolito di Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1847 a proposito della festa del santo a Napoli: “Cheste è chella bella Jornata di San Martino c’a Napole, e me credo pe tutto lo Munno, se fa na grosa festa; e grazia de chesta sollennità, a dove echiù, a dove meno, se fa lo grande pranzo…”.
Il giorno di San Martino era anche tempo di baldoria, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata: in Romagna affermano infatti che “Par Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn”, cioè “per San Martino s’ubriaca il grande e il piccino”.
Oppure : “Per San Martino si spilla il botticino”; e ancora, “Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino”. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo infatti che “Per San Martino ogni mosto è vino”.

Con il vino gli abitanti delle terre che una volta era la “Gallia Cisalpina” e che oggi alcuni chiamano Padania, consigliano di mangiare le castagne e l’oca: “Per San Martino castagne, oca e vino!”.
Un’usanza, quella di mangiare l’oca, da rispettare per avere fortuna, come ci ricordano i Veneti: “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!”.
Ma perché l’oca viene mangiata per la Festa di San Martino? La tradizione si ispirerebbe a una leggenda medievale sulla vita del santo. Era l’anno 371 quando san Martino venne eletto per acclamazione vescovo di Tours in Francia, lui però si nascose in campagna perché preferiva continuare a vivere come semplice monaco. Ma le strida di un storno di oche rivelò agli inseguitori il nascondiglio del santo, che dovette accettare e diventare il grande vescovo che è stato.
Un’altra interpretazione più accorta afferma invece che siccome le oche selvatiche migrano verso sud all’approssimarsi dell’inverno, ai primi di novembre è facile cacciarle e dopo, naturalmente, cucinarle. Forse perciò si afferma che: “Oca e vino tieni tutto per San Martino”.
In ogni modo la scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa di San Martino non è casuale perché dietro la popolare usanza gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose che deriverebbero dalle celebrazioni del “Samuin” Celtico: l’oca di san Martino sarebbe dunque una discendente di quelle oche sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà.
Infinite poi sono le favole europee ispirate all’oca sorte in terre che una volta furono dei Celti: si pensi alla “Vecchia delle oche” di Grimm, ai “Racconti di mia madre l’oca” attribuiti a Perrault, oppure al mito della fata Melusina che curiosamente aveva i piedi a forma di zampa d’oca che nessun mortale poteva vedere.
Insomma, un’eco lontana di queste credenze potrebbe essere la consuetudine, esistente tuttora in molti Paesi dove la religione celtica era più radicata, di mangiare l’oca proprio in questi giorni, a partire dal giorno di Ognissanti.
Il mondo dell’agricoltura ha seguito per secoli lo scandire di questa data e oggi in Italia e in altri Paesi europei l’estate di San Martino viene festeggiata tutt’oggi con banchetti e sagre.

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